27 apr 2011

"Die Brücke"



Se ci fosse una strada, per partire o arrivare. Se “partire” fosse solo “morire”. Se nel bel mezzo del cammino ci si ritrovasse in una selva oscura. Se si soffocasse, potendo, senza respirare. Se il respiro stesso non fosse un “su” e “giù” del petto, ma solo un trattenersi, un rigonfiare, un cedere le armi. Se l'inconscio esistesse di giorno e la notte fosse per la tranquillità degli occhi che non vedono di notte. Se ci si mangiasse lo stomaco per salire troppo in alto e salendo la nausea fosse a dismisura asfissiata in gola. Se ci fosse qualcuno. Qualcuno. Almeno uno. Almeno. Per camminare insieme, per parlare insieme, per giocare insieme. Se non si fosse soli, così soli. Se non si fosse i soli a morire in questa città. Se ci fosse qualcuno, uno almeno, almeno un altro. Per avere meno paura. Per avere paura insieme.
( E. L. Kirchner )

Kirchner (1880-1938) è il rappresentante più importante della prima fase dell’espressionismo in Germania. Egli è tra i fondatori nel 1905 del gruppo Die Brücke ( Il ponte ) insieme a Karl Schmidt-Rottluff, Fritz Bleyl ed Erich Heckel. Con lui altri artisti erano mossi da una volontà di rottura con la tradizione accademica e di polemica verso la società contemporanea. Portarono alle estreme conseguenze l'ideologia romantica, affermando la priorità della coscienza soggettiva e la necessità dell' artista di liberare senza mediazioni il "grido originario" ( Ur-schrei ) in polemica con una concezione classica del fare artistico. I precedenti di questo tipo di pittura, che connota in modi nuovi l'immaginario urbano, sono le opere di Van Gogh e Gauguin, di Munch ed Ensor ed il gruppo dei fauves con le sue audacie cromatiche: uso dei colori accesi fortemente contrastanti, deformazione dell'immagine ( ora in chiave caricaturale, ora di visione interiore e psicologica ).
Nel 1910 Kirchner aderì alla Nuova Secessione di Berlino e l’anno successivo si trasferì in questa città e insieme a Pechstein fondò una scuola artistica che però non ebbe alcuna fortuna.

"Die Brücke" (in italiano "Il ponte") è la corrente più importante di tutto l'Espressionismo.
Venne fondata a Dresda il 7 giugno 1905, da parte di quattro studenti di architettura alla Technische Hochschule: Ernst-Ludwig Kirchner, Erich Heckel, Karl Schmidt-Rottluff e Fritz Bleyl. Quasi subito se ne distaccò Bleyl, mentre nel 1906 si unirono agli altri anche Max Pechstein e Emil Nolde.

In occasione della fondazione Kirchner realizzò una xilografia che doveva servire da manifesto programmatico. In essa appariva la denominazione Künstlergemeinschaft "Die Brücke", letteralmente Comunità di artisti "Il ponte". "Die Brücke" si proponeva, quindi, come comunità di lavoro e di programma.
Dal programma emerge l'intento di contribuire al rinnovamento spirituale dell'arte, in contrasto sia con la visione accademica, che con quella impressionista e secessionista.
Alla base di questo progetto vi era una comunanza di esperienze e una concezione condivisa dei rapporti sociali, dell'arte e del ruolo dell'artista. Gli aspetti salienti erano:

la critica del potere e dell'autoritarismo guglielmino,
l'avversione nei confronti del perbenismo e dello squallore piccolo-borghese,
il senso di disagio nei confronti della vita urbana,
la nostalgia per una vita più pura e genuina,
l'esigenza di un rinnovamento dei rapporti sociali,
il proposito di stabilire un ponte (Die Brücke) tra le persone,
l'esigenza di un'arte libera e fusa con la vita,
la scoperta della scultura primitiva e oceanica,
la riscoperta della scultura tedesca medievale e rinascimentale.
Sul piano artistico gli artisti della "Brücke" presero le distanze in modo netto dalle correnti oggettive del tempo, che miravano alla raffigurazione del mondo nella sua apparenza reale o nei suoi contenuti simbolici.
Il loro interesse si concentrò sull'esigenza di dare voce al "mondo interiore", rappresentare in forma pittorica la realtà inafferrabile dell'emozione. L'obiettivo era di tale portata da subordinarvi anche la forma, differenziandosi in ciò dai cugini Fauves francesi, più soggiogati all'armonia della composizione.
Dopo la "Brücke", l'espressione dell'emozione divenne il generico trait-d'union di tutte le esperienze riunite sotto la definizione di "Espressionismo". In questo ambito alcuni attributi caratterizzarono gli artisti della "Brücke" dalla moltitudine dei compagni di strada espressionisti:

il desiderio di esprimere la falsità della lusinga modernista,
l'ambiguità della civiltà urbana, vero misto di progresso, senso di solitudine e minaccia,
il rimpianto, un po' nostalgico, della natura e l'impossibilità dell'uomo a fondersi con essa,

KIRCHNER : CINQUE DONNE PER LA STRADA



A differenza dei «fauves», l’espressionismo di area tedesca nasce sempre da situazioni più sofferte, che portano a guardare alla realtà con occhio triste e disperato. La realtà non è quella che appare, perché è mascherata da troppe convenzioni e ipocrisie. La verità è dietro le apparenze, ed è una verità che non può essere colta con gli occhi, ma solo con una conoscenza più profonda dell’animo umano. La pittura espressionista tedesca deforma l’aspetto della realtà per renderlo più simile a ciò che l’animo avverte. Così, ad esempio, nei quadri di Kirchner i corpi hanno aspetti sempre spigolosi e taglienti: non ispirano calore umano ma solo freddezza tagliente.

Le cinque donne protagoniste di questo quadro non sono molto dissimili da altre donne presenti in altri quadri di Kirchner. Se esse siano delle signore borghesi, o cinque prostitute ferme sotto un lampione in attesa di clienti, non è dato saperlo, ma poco importa. Le spigolosità che le caratterizza, i profili diritti e taglienti, i volti cadaverici, rendono queste cinque donne capaci solo di attrazioni maligne e ferali.

Il quadro non ha una spazialità ben definita, benché le cinque donne, nel loro disporsi in angolazioni diversificate, riescono a disegnare un cerchio approssimativo. La gamma cromatica è molto ridotta, dominando nettamente le tonalità del verde, da cui si stacca solo il nero che costruisce e separa dall’ambiente le cinque figure. Una pittura quindi volutamente semplificata, non molto lontana dalle immagini xilografiche molto praticate sia da Kirchner sia dagli altri espressionisti del gruppo «Die Brucke».

In questo quadro si ritrovano quindi un po’ tutti gli elementi stilistici tipici dell’espressionismo tedesco: la semplificazione delle forme, l’uso espressivo del colore, le atmosfere cupe e poco allegre, la volontà di una generalizzata denuncia contro una società borghese non amata né stimata, ma soprattutto la volontaria rinuncia alla bellezza come valore tranquillante e consolatorio dell’arte. Valore, quello della bellezza, apprezzato soprattutto dai borghesi, che nell’arte vedevano un idilliaco momento di evasione fantastica, ma che non poteva essere condiviso dagli espressionisti che proprio contro i borghesi rivolgevano la loro arte.
Kirchner nel quadro simboleggia il proprio disgusto verso la realtà borghese, nonché un certo interesse rappresentativo verso l’arte primitiva, i volti, infatti, paiono maschere di qualche popolazione misteriosa.
Sul piano formale, questi elementi si traducono in un'accentuazione della componente emozionale, ottenuta attraverso:
-la semplificazione della composizione,
-l'alterazione della prospettiva,
-la deformazione delle figure e la perdita dei connotati individuali,
-i contorni aspri e spigolosi,
-il contrasto delle tinte,
-i colori stesi puri e a zone.
In questo dipinto le pose e gli atteggiamenti sono quelli delle donne di strada; lo squallore della loro esistenza viene espresso dai colori lividi e cupi, dalla deformazione della figura allungata e chiusa da linee spezzate che inoltre fanno perdere loro i connotati umani per conferire loro un’aria da arpie, deformi uccelli appollaiati a spiare le prede. Queste figure imbellettate e dalle forme stereotipate esprimono al massimo grado la poetica propria dell’espressionismo che mette in luce gli aspetti seduttivi della femminilità ma in un’ottica di morbosità e perdizione.
L’arte di Kirchner esprime una violenta demistificazione della società del suo tempo, le
sue scene di strada, in cui le persone passano chiuse nella loro solitudine, distruggono il
mito impressionista della città borghese gaia e piena di vita.

26 apr 2011

LEONARDO : LA VERGINE DELLE ROCCE



Ne La Vergine delle rocce, si avverte tutta la singolarità, la delicatezza, il misticismo della pittura di Leonardo.
Il fondo roccioso ha un effetto quasi magico, e vi si associa la stessa completezza e lo stesso spessore spirituale che si nota nei lineamenti della Vergine.
Per quello che riguarda questo punto, cioè, quello dei tratti dei volti delle figure di Leonardo, in particolare, quelle femminili, ci sono da dire delle cose fondamentali, ormai quasi accertate dell’artista, o meglio, “del genio”…Piccoli particolari sui quali lo stesso Sigmund Freud, elaborò la propria versione…

Cioè, l’artista, sarebbe cresciuto con il complesso di avere due madri…Infatti, è praticamente certa, la nascita illegittima di Leonardo, (16-4-1452)da Piero di Antonio e Caterina, poi, da molto piccolo, vivrà col padre e la madre adottiva.

Freud, porrà l’attenzione, proprio ad un sogno che Leonardo trascrisse e che fece spesso: il “Sogno del Nibbio“.
Anche questi punti, quindi andranno a caratterizzare tutto questo misticismo che tutti cogliamo nei tratti dei volti delle “donne” di Leonardo…Delicati, ma pensanti, intelligenti, riflessivi, allusivi, che vivono nel loro spazio dove si trovano collocati, ma si elevano dall’interno a qualcosa che è sempre oltre.

Leonardo, da adolescente, studierà a Firenze, nella bottega del Verrocchio.

Oggi, troviamo La Vergine delle rocce al Louvre.
Di quest’opera possiamo dire che era un dipinto ad olio su tavola, più o meno terminato nel 1486 e la sua stesura, durò per almeno 2, 3 anni.
Successivamente, fu trasferito per restauro su tela nel XIX secolo.
La scena è collocata in un’architettura meravigliosa composta da grandi rocce e qui e li fiori e piante.
Lontano si percepisce un’altra delle sue caratteristiche principali: una sorta di prospettiva atmosferica..
In più vediamo che l’abbraccio della Madonna, è rivolto a Giovanni Battista, che è rappresentato come un bimbo nudo, che sta osservando Gesù, rappresentato in un altro bimbo nudo, mentre Maria, con l’altra mano gli benedice il capo. Dietro a Gesù, troviamo la figura di un angelo che indica Giovanni mentre con uno sguardo tipico dei volti “leonardeschi”, tenta di spiegare la storia a chi osserva.
C’è talmente tanta comunicazione tra le figure di questa scena, sia a livello sturtturale, compositivo e tecnico, che “emotivo”, tanto da farla risultare quasi cinematografica..E tutta questa comunicazione, si svolge sempre nel contesto di questo silenzio mistico di Leonardo…
Questa versione, la prima, si trova al Louvre, ma c’ è una seconda versione, che si trova alla National Gallery di Londra. Forse, specificare che si tratta di una delle opere più famose di Leonardo, è inutile, e anche il fatto che sia una delle tante che cela molti dei concetti inspiegabili.

MANTEGNA: IL CRISTO MORTO


Il Cristo morto è uno dei quadri più famosi di Andrea Mantegna.

Cristo è ritratto morto, supino, su di un letto di marmo. È affiancato da figure che piangono la sua morte, Maria, San Giovanni e da una terza figura, probabilmente, la Maddalena.

Sono fortissimi i contrasti di luce e ombra. Inoltre, il realismo della scena è accentuato dalla prospettiva, violenta e quasi tragica, ( in molti, pensano che il Mantegna sia stato ispirato dalle prospettive ed i volumi di Donatello ), che accorcia la figura, distorce dettagli anatomici, ma volumizza altre parti del corpo del cadavere. C’è una tensione fortissima, unica che, nonostante la dammaticità dei lineamenti, del corpo, la sua posizione prospettica, e la sua collocazione, lo rende unico, bellissimo.

Il Mantegna, fu uno dei primi artisti a ritrarre il dramma umano attraverso prospettive, volumetrie di corpi che si contrapponevano con l’ icona dell’ideale sacro, fatto invece di simbolismi e austerità e compostezze anche nei riguardi della morte.

Molto evidenti, sono i fori nelle mani e nei piedi del Cristo, e nei volti delle alre figure, invece tutti i tratti anatomici espressivi sottolianeano il dramma. Il torace è la parte anatonica più in tensione ed in evidenza, sia per l’elemento del telo posizionato sotto, sia per la scelta prospettica su di un corpo, mai utilizzata prima da nessun altro.

“Ebbe sempre opinione Andrea che le buone statue antiche fussino sempre più perfette e avessino più belle parti che non mostra il naturale [...] Mostrò costui col miglior modo come nella pittura si potesse fare gli scorti delle figure al di sotto insù, il che fu certo invenzione difficile e capricciosa.”( G. Vasari ).

Il telo che copre le gambe di Cristo, poi, sembra accentuarle tese fino a dare il senso del freddo della lastra di marmo sul quale è riposto.

PICASSO GUERNICA - Commento


Quando Pablo Picasso dipinse quest’opera che diventò uno dei quadri più famosi dello stesso artista, era il 1937. In questo periodo la Germania, fece un grave bombardamento aereo durante la guerra civile spagnola, che durò più o meno dal 1936 al ‘39, sulla piccola città, dal quale derivò un massacro violentissimo.
Il governo repubblicano spagnolo decise che il quadro poteva stare a decorare il padiglione spagnolo durante l’Esposizione mondiale di Parigi, del 1937.
Sulla base dei principi fondamentali del Cubismo, Picasso esprime in Guernica la sua opposizione ai regimi totalitari dell’ Europa nel XX secolo.
La rappresentazione è un terribile evento bellico, quindi Picasso si schiera dalla parte degli oppressi.
Nulla nelle figure, però, ci indica che si è trattato di un bombardamento.
Appare soprattutto una protesta contro la violenza, la distruzione, la guerra in generale.
Sono presenti figure simboliche che descrivono e racchiudono tutto quello che è stato detto sopra.
L’interpretazione che si può dare al toro nella parte sinistra del quadro, è che esso rappresenta il Minotauro, ( la bestialità storica, mitologica, e questo offre all’osservatore una chiave di lettura chiara ed universale).
La lampada ad olio al centro dell’opera, sta a significare la ragione, e allo stesso tempo la speranza che l’uomo migliori il suo istinto incontrollabile.
Il cavallo agonizzante, racconta il popolo spagnolo distrutto.
Il terrore e la violenza sono leggibili sulla sinistra del quadro,dove appare una madre che grida al cielo, tenendo il figlio morto tra le braccia.
Nella parte inferiore del quadro c’è un cadavere, che tiene un fiore nella mano destra, e che ha, forse, una stigmate sulla mano sinistra come simbolo di innocenza verso la crudeltà
nazi- fascista.
Il fiore può simboleggiare gli stessi contenuti della lampada.
Importanti sono gli aspetti dei personaggi, composti da linee deformanti e dall’ andamento veloce.
Le lingue fuori dai volti sono praticamente aguzze, e fanno pensare a urli assurdi.
L’alternarsi dei bianchi, grigi, neri, accentua le forme violente e il piombare inevitabile della morte a Guernica.
Non sono da dimenticare le dimensioni dell’opera (3,5×7.82 metri), che accentuano i contenuti gettandoli sulla coscienza di chi ci si trova davanti.
Probabilmente, questo, poteva stare a sostituzione di un grande manifesto che denunciasse la guerra, qualunque essa fosse.

25 apr 2011

l'ira di Caravaggio

IL BACIO - GUSTAV KLIMT

MAGRITTE E DE CHIRICO



"Gli amanti" o "Les amants" ( 1928, olio su tela, 54x73 cm, New York, Richard S.Zeisler Collection). In quest'opera è presente uno dei temi che ha caratterizzato, in questo periodo, la pittura di Magritte, ed in altre opere gli amanti ritornerano ma col volto scoperto o con i volti affiancati. Il dipinto ci mostra due persone che si baciano ed hanno i volti coperti da un panno bianco, un panno già visto nella "Storia Centrale", opera considerata da David Sylvester piena di riferimenti al suicidio della madre, ma ipotizza anche che sia un invenzione dell'artista il volto coperto della madre morta, vista la sua ossessione nel coprire i volti. Questo tema è inserito nella questione del visibile e invisibile, su cui Magritte torna più volte e nel 1929 scrive in Le parole e le immagini : " Un oggetto può implicare che vi sono altri oggetti dietro di esso". Il bacio fra i due amanti è un' immagine che parla di morte e dell'impossibilità di comunicare, i due personaggi dietro il panno si scambiano un amore muto che conosce solo il linguaggio del corpo. Quest'opera è un richiamo all'opera di de Chirico: " Ettore e Andromaca";

due manichini che tentano un anlogo e impossibile abbraccio in un'atmosfera melodrammatica ed i manichini mantengono una certa distanza dallo spettatore, al contrario in Magritte non si può sfuggire dall'angoscia, non si tratta di un'umanità simulata ma negata nelle sue caratteristiche essenziali e mutilata della sua individualità.

HAYEZ .: IL BACIO


Il maggiore pittore del romanticismo italiano fu Francesco Hayez (1791 - 1882). Egli si dedicò ai soggetti storici e civili, esprimendo nella sua pittura gli ideali del Risorgimento. Il quadro "Il bacio" fu realizzato nel 1859. Il soggetto sembra a prima vista sentimentale, più che politico, ma non bisogna dimenticare che gli artisti risorgimentali erano spesso costretti a "mascherare" i propri messaggi, calandoli in realtà storiche lontane dal presente oppure creando situazioni allusive e simboliche Il pubblico dell'epoca interpretò subito questo quadro in termini politici, vedendovi rappresentato l'addio alla donna amata da parte di un patriota costretto all'esilio. Nel dipinto le figure sono disegnate con una precisione e nettezza di contorni proprie della pittura classica, ma il loro atteggiamento appassionato, l'abbandono languido della donna e il piegarsi su di lei dell'uomo, creano una atmosfera intensa e commossa, tipica dell'arte romantica. Va inoltre sottolineata l'attenzione per i dettagli (le pieghe della veste, i riflessi della stoffa), che conferisce al dipinto un grande realismo.

Vicino alle idee di Alessandro Manzoni, sosteneva che la sua pittura romantica non nasceva da idee filosofiche, ma dal puro sentimento. In realtà i suoi quadri, dal disegno accademico ma dal colore caldo e toni appassionati, con una tensione comunicativa di tipo teatrale, rispecchiano esattamente gli ideali risorgimentali dell'epoca, esaltati dalla musica di Giuseppe Verdi.

Analisi

Autore: Hayez Francesco

Titolo: "Il bacio"

Data: Venezia, 1859

Collocazione: Milano, Pinacoteca di Brera

Soggetto: L'addio tra due giovani che simboleggia l'addio di un soldato alla sua patria, perché deve partire in guerra

Contenuto oggettivo: l'opera rappresenta due giovani innamorati che si stanno baciando appassionatamente

Contenuto soggettivo: L'opera rappresenta l'attimo terribile del distacco tra due giovani condannati ad una separazione piena di tragici enigmi. Gli eventi che nell'immagine sono velati sotto una coltre di colore teso, stirato, brillante, nascondono le divisioni interne di questi "simboli" di una società in tumulto, ma prigioniera degli ipocriti. Questi giovani, ignari, stanno per pagare le colpe di un reato che non hanno commesso. L'autore, magistralmente, nasconde il patos dietro il sipario di sentimenti forti ma delicati di colori in contrasto e in perfetta armonia.

Descrizione: Un giovane ragazzo con un mantello rosso ed un cappello bacia una giovane ragazza molto elegante, vicino agli scalini

Analisi formale

Segno: Invisibile

Linea: Suggerisce volume

Superficie: Liscia e ritmata

Colore: Freddo, caldo, non colore

Luce: Direzionata bianca

Volume: Reale

Spazio: Reale e chiuso

Composizione: Simmetrica

TOULOUSE LAUTREC : IL BACIO


In questo bacio ( forse tra due donne), tutto appare appassionato, ma attenuato dal colore delle lenzuola e dell’atmosfera silenziosa. Il bianco infatti, è sporcato di tinte piuttosto fredde, grigie.

Ma l’abbraccio trattiene stretto il significato ed il calore di questo bacio, proprio come in un nodo. Si coglie una strana morbidezza, un tepore che quasi non c’è mai in tutte le opere di Lautrec : quadri, cartelloni pubblicitari, ecc…Se l’altra volta, il quadro evocava un argomento che al giorno d’oggi, è quasi del tutto scontato, cioè il bacio visto dal punto di vista delle pulsioni animali, questo invece, rivela un’ intimità dolce e quasi necessaria…Emotiva.

JOHN CURRIN : IL BACIO -Commento


John Currin, è uno dei più importanti artisti contemporanei, quest’opera, Kissers, è stata presentata nel 2006 alla Gagosian Gallery.

La sua arte è detta anche pornografica, “dati i soggetti e le loro azioni”.

La sua tecnica è classica, egli stesso ammette di rifarsi ai grandi maestri italiani come Botticelli o il Mantegna.

Il suo stile, olio su tela, supporto classico, ciò che cambia è il periodo storico ed i suoi protagonisti.

Queste sopra, i soggetti di Kissers, sono due donne paragonabile alle figure di Lautrec.
Anche qui, il bacio è riflesso all’osservatore dal punto di vista delle pulsioni istintive umane. Ed accade tra due donne, che non hanno oggi, il minimo problema di manifestare qualcosa in più o in meno, di quello che già appare nel quadro..

Ciò che si nota solitamente nei suoi quadri famosi, sono rappresentazioni di donne deformate, sproporzionate. C’è una rappresentazione molto vicina alla realtà con tutte le sue emozioni terrene, ed in questo caso, degli elementi dell’ attuale società e cultura americana ( con tanto, secondo il suo personale punto di vista, di falsi valori di apparenza e bellezza artificiale), ma c’è anche la rappresentazione interiore e distorta di figure ricorrenti e di come percorrono la mente dell’artista.

Currin, è, in questo momento, uno degli artisti più quotati al mondo , si parte di base, più o meno, dai 200 mila dollari in su.

KLIMT : IL BACIO - Commento


Tra tutti i quadri famosi del mondo, troviamo ” Il bacio “, di Gustav Klimt, uno dei massimi esponenti dell’art nouveau, ( fondata sulle linee e le forme della natura che tanto ricordano le arhitetture di Antoni Gaudì , che fu protagonista della Secessione viennese). Questo è il più famoso di tutti i baci.

Sensazione completamente diversa e contrapposta dal “bacio” di Toulouse Lautrec.

L’uomo racchiude tra le mani il viso della donna, e lei lo avvolge in un abbraccio infinito e geometrico, talmente sublime da somigliare a una dolce morte, che finisce sul prato in fiore dove poggiano le ginocchia della donna…

Le lunghe tuniche dorate e decorate, vestono le figure interamente, proteggendo il senso di questo bacio quasi come fosse un gesto sacro.

Le tinte sono simboliche, sintetiche, sfarzose, ma dignitose.Talmente brillanti da catturare la luce intorno al quadro stesso per farlo rivivere di volta in volta di luce propria.

(Questo rappresenta il bacio: tenerezza, protezione, calore, sacralità, unicità). Stilisticamente, è da notare una sintetizzazione compositiva, infatti le tuniche sembrano unirsi in una e formare un unico volume al centro di un prato in fiore , come il “sentimento” al centro del concetto.

Abbiamo quindi un unico elemento compositivo ed impassibile, impenetrabile: tutti li possono guardare e nessuno potrà mai dividere questo bacio eterno.

Questo respiro accennato e riscaldato da un’ aurea d’oro che rafforza l’armonia concettuale di un bisogno umanamente primario, diventato in questo quadro, una filosofia; la narrazione aulica di chi resterà per sempre fiero di compierLo.

La partecipazione emotiva dell’osservatore è totale.

Il fondo del quadro, colloca i soggetti in una dimensione tipicamente personale dell’artista. (Che poi stranamente sembra comparirci intorno nel momento in cui, osservando “il bacio” sembra arrivare intorno a noi).

MUNCH : IL BACIO - Commento




Ne Il bacio di Edvard Munch, ci sono due figure alla destra del quadro, che si baciano all’interno di un locale, vicine ad una finestra da cui si coglie una via con vetrine illuminate e pochi passanti.
L’uomo del quale si individua un profilo sintetico e l’orecchio, è in abito blu e, dalla giacca fuoriesce una parte del colletto bianco della camicia, egli è rappresentato di profilo con il braccio destro in avanti a rubare un abbraccio; delle gambe si vede solo la parte superiore.
La donna , della quale , non si vede il volto, è rappresentata in posizione frontale, ma con il busto lateralmente tutto proteso verso il corpo dell’uomo; si distingue solo una parte del collo lasciato scoperto da un abito nero e scollato.
La coppia è accanto alla finestra che ha una tenda bianca sporcata dai colori freddi dell’ atmosfera.
L’ambiente interno in generale risulta spoglio e scuro.
Dai vetri della finestra, divisa in quattro sezioni, si vede una via con vetrine illuminate.
Si distinguono quattro passanti e un grande cipresso .
In basso a sinistra è collocata la firma di Munch.
I colori di tutta la composizione sono scuri, azzurri, blu e neri e le tonalità sono fredde.
Qui l’amore è primitivo e insopprimibile e la voglia di annullarsi uno nell’altro viene ancora una volta letta come espressione di morte.
In questo dipinto c’è la tematica del rapporto e dell’attrazione tra uomo e donna, secondo il suo modulo della poetica dell’angoscia.
I colori sono violenti ed irreali, usati secondo la filosofia dei colori complementari, le immagini deformate, le linee sinuose, e tutt‘insieme esprimono la sua angoscia, il suo tormento, ( che poi corrisponde al peso incombente della morte).
La donna è per Munch qualcosa di diabolico, finto.
Egli non riesce a vivere l’ amore come qualcosa di vero e positivo, da qui la trasposizione sui colori violenti e sulle rappresentazioni delle donne in generale, che mostrano la sua paura, la sfiducia verso il mondo affettivo.
Munch non cessa mai di sentirsi colpevole e perseguitato dai propri spettri.
E nei suoi quadri non farà altro che, riscrivere la sua vita: un’autobiografia dell’anima per immagini, o meglio le catastrofi dell’Io, intenso e, provocante nei mezzi.
Chi guarda sbatte contro l’ansia e vi riconosce la propria.
Edvard Munch è colui che ha saputo dare volto alla psiche moderna della vita.
E’ impossibile trovare l’amore, in questo bacio, difficile trovare un sentimento di tenerezza o complicità in questa coppia misteriosa, dove i volti sono nascosti nell’ombra di un abbraccio tormentato, i corpi avvolti su sé stessi, avvinghiati in una lotta, prede di una passione struggente ed irripetibile, e decentrata.

Il rapporto tra uomo e donna come tensione bipolare tra desiderio di amore e paura di amare.
Il dipinto, un olio su tela (73 x 92 cm) del 1892, oggi custodito a Oslo, al Nasjonalmuseet for Kunst, fa parte, come il celebre "Il grido",di un grande ciclo pittorico, "Il fregio della vita" (1893-1918), un gruppo di opere centrate sul tema del ciclo vita, morte e amore ("Il grido", "Il bacio", "Gli occhi negli occhi", "Vampiro", "Danza della vita"), all'interno del quale compare una tematica più volte ripresa da Munch, quella del rapporto e dell'attrazione tra uomo e donna, interpretata secondo il modulo della sua personale poetica dell'angoscia.
Difficile trovare l'amore, in questo bacio, come del resto in altri 'baci' più volte riproposti dall'artista con variazioni anche nella tecnica utilizzata (olio, matita, acquaforte, xilografia, puntasecca), difficile trovare un sentimento di tenerezza o complicità in questa coppia misteriosa, dove i volti sono nascosti nell'ombra di un abbraccio sensuale ma non gioioso, i corpi avvolti su sè stessi, indistinguibili l'uno dall'altro, avvinghiati in quella che pare più una lotta che un contatto amoroso, in preda ad una passione struggente e malinconica.
Le due figure, tema dominante dell'opera, sono nettamente decentrate, contro ogni canone compositivo tradizionale, letteralmente sospinte verso il margine destro del quadro, ad accentuare un senso di furtività che tutto l'insieme sottolinea ed esaspera: l'ambiente non è certo un contesto romantico, è un locale modesto e disadorno, quasi che l'incontro sia casuale o clandestino, oltre i vetri della finestra si intravvede una via come tante, con vetrine illuminate, qualche passante, probabilmente l'ora tende alla sera, i colori sono piuttosto scuri, le tonalità fredde, tipicamente nordiche, dietro la tenda biancastra le forme indistinte delle due figure avvinte sfumano dal blu al nero verso una zona d'ombra assoluta che si perde oltre il limite della tela.
La perdita di identità che consegue all'impossibilità di distinguere separatamente le due figure strettamente abbracciate esprime sia l'essenza dell'amore, la con-fusione di due corpi, oltre che di due anime, sia il turbamento dei sensi, vissuto come una minacciosa possibilità di perdizione, in senso morale ma anche letterale.
Il rapporto tra uomo e donna si configura così come una tensione bipolare tra desiderio di amore e paura di amare, un rapporto ambiguo espresso dalla fusione fisica tra i due protagonisti non già sull'onda di uno slancio passionale, ma di un reciproco tentativo di annullamento ed assimiliazione (o dissoluzione): solo così Munch può trasferire in un tema ad alto contenuto emotivo, che presuppone uno stretto rapporto interpersonale a lui sempre negato, il doloroso senso di solitudine non solo psicologica o metaforica, ma tragicamente reale in un vissuto personale drammatico e traumatizzante.
Abbandonata la sinuosa eleganza della linea dell'Art Nouveau, che ritroviamo soprattutto nelle numerose acqueforti, Munch adotta un segno sommario e quasi frettoloso, sia per l'ambiente che per le figure, sotto una forte spinta espressionista che preme verso un impellente desiderio di esprimersi, con ansia, con furia, senza il filtro dell'analisi e della ragione: ma, se si tratta di Munch, "L'arte è completa quando l' artista ha detto tutto quello che doveve dire veramente.... " così scrive di lui l'amico e pittore Christian Krohg, e tutto il resto non ha importanza.