29 set 2011

Jacques Louis David LA MORTE DI MARAT


Se il giuramento degli Orazi è di certo il quadro neoclassico per eccellenza, la morte di Marat è il quadro che più di ogni altro dà immagine al dramma della Rivoluzione Francese. Anche qui il contenuto del
quadro è l’eroismo, ma nel doloroso prezzo che tale scelta impone: il sacrificio della propria vita.
La Rivoluzione Francese era scoppiata nel 1789. Dopo la deposizione della monarchia si ebbe in Francia un periodo di grossa instabilità politica, caratterizzata da un periodo violento e sanguinoso.
Tra i protagonisti di questa cruenta fase della Rivoluzione, che culminò con la condanna e l’esecuzione del re Luigi XVI, ci fu anche Jean-Paul Marat. L’uomo politico fu assassinato nel 1793 da Carlotta Corday.
Marat, che soffriva di dolori reumatici, trascorreva la maggior parte del suo tempo immerso in una vasca con l’acqua calda. Carlotta Corday lo sorprese mentre era nella vasca, e lo pugnalò con un coltello.
David, che era amico di Marat, ricordò la sua morte con un quadro che divenne immediatamente famoso. L’artista voleva esaltare le virtù eroiche di Marat e, nel contempo, rendere emozionante e densa di significato la sua morte.
Scelse così, come «momento pregnante», non il momento in cui venne assassinato, ma il momento successivo in cui il corpo inanimato ci mostra tutta la cruda realtà della morte. Marat è solo.
Il quadro nella parte superiore è completamente vuoto e scuro.
Nella parte inferiore ci mostra il corpo in tutta la solitudine e il silenzio della morte. Tutta la composizione è giocata su pochissimi elementi rappresentanti con linee orizzontali e verticali. Marat, nel momento in cui fu assassinato, stava rispondendo ad una donna che gli aveva scritto perché era in difficoltà finanziarie. Marat, pur non essendo ricco, le stava inviando un assegno che si intravede sul piccolo tavolino affianco al calamaio. Tutta la composizione è giocata su pochissimi elementi rappresentanti
con linee orizzontali e verticali. Marat, nel momento in cui fu assassinato, stava rispondendo ad una
donna che gli aveva scritto perché era in difficoltà finanziarie.
Marat, pur non essendo ricco, le stava inviando un assegno che si intravede sul piccolo tavolino affianco al calamaio. Il coltello, usato dalla donna, è a terra sporco di sangue. Marat ha ancora in una mano la lettera e nell’altra la penna per scrivere.
Questo braccio, che ricorda il braccio del Cristo nel quadro della Deposizione di Caravaggio, è abbandonato a terra, creando l’unica linea diagonale della scena. La testa, appoggiata sul bordo della vasca, è reclinata così da mostrarci il viso di Marat.
Tutto il quadro ispira un silenzio che non può essere rotto in alcun modo. Esso rimane come la
testimonianza più lucida e commovente di quel periodo del Terrore che avrebbe portato al sacrificio di
tante vite umane.
Cenni sulla vita
• Jacques-Louis David (1748-1825), dopo un apprendistato presso il pittore
tardo-rococò Vien, si recò a Roma nel 1775 avendo vinto il Prix de
Rome.
• Il Prix de Rome era una borsa di studio che l’Accademia di Francia
assegnava ai giovani artisti più promettenti per consentire loro un
periodo di soggiorno e di studio nella città eterna.
• David si trattenne a Roma fino al 1780.
• Qui ebbe modo sia di conoscere le teorie artistiche del Winckelmann, sia
di studiare l’arte antica e rinascimentale.
• Predilesse le pitture di storia, utilizzando episodi classici da proporre
come «esempi di virtù» al mondo contemporaneo.
• Infatti il suo fu un neoclassicismo di grossi contenuti etici e virili che
egli opponeva alle mollezze ed effeminatezze del mondo rococò.
• In un suo secondo soggiorno romano, nel 1784, dipinse «Il giuramento
degli Orazi» che gli diede notevoli successi.
• Per le sue idee e temperamento partecipò attivamente alla Rivoluzione
Francese e al periodo napoleonico, producendo sempre quadri storici
(anche quando raffiguravano eventi a lui coevi) ma dai contenuti di
stringente appello civile.

Il Giuramento degli Orazi Jacques Louis David


Il giuramento degli Orazi può essere considerato come il manifesto del neoclassicismo, quindi come momento di rottura con la pittura di facile lettura degli artisti francesi che fino ad allora erano stati favoriti del re.
La scena che sembra tratta da un bassorilievo romano si svolge entro un ambiente che richiama i nitidi caratteri dell'architettura antica. I personaggi, vestiti fedelmente all'antica, sono organizzati in tre gruppi: i centurioni che giurano di vincere o di morire sulla sinistra, le due donne piangenti e la madre che protegge i figli sulla destra, al centro il padre che esorta i figli alla vittoria offrendo loro delle armi.
Per David l'antico diviene modello non solo formale ma anche morale, tanto che egli sceglie di rappresentare il momento di maggiore drammaticità fissando i suoi personaggi in una immobilità definitiva. Considerato oggi uno dei capolavori di David, quando il dipinto venne esposto all'Accademia di Francia a Roma, la critica si abbandonò a feroci commenti, scandalizzata da quello squallido portico costruito con rozze colonne e rozzi muri per mettere in evidenza la semplicità dei tempi.
L'Opera
Per ironia della sorte il dipinto, impregnato di idee repubblicane, venne commissionato a David da Luigi XVI. Eseguito durante il soggiorno a Roma, fu esposto nel 1784 nell' Accademia di Francia, allora presso Palazzo Mancini; nel 1785 venne spedito a Parigi per essere esposto al Salon dove ricevette una migliore accoglienza rispetto all'insuccesso registrato a Roma.
Nel 1798 il quadro venne esposto al Musée de l'École Française a Versailles, allora in fase di organizzazione, quindi nel 1803 fu trasferito al Musée du Luxembourg e dopo la morte di David sistemato al Louvre. Dell'opera esiste un considerevole numero di disegni preparatori.
Il quadro si divide idealmente in tre riquadri distinti, segnati dai tre archi a tutto sesto dello sfondo.
Nel primo riquadro ci sono i tre fratelli Orazi. Sono visti di scorcio così che sembrano quasi formare un
corpo solo.Hanno le gambe leggermente divaricate in avanti, il braccio proteso. I loro lineamenti sono tesi, le espressioni sono concentrate: esprimono tutta la determinazione che li porta a sacrificare la loro vita per la patria. Al centro, nel secondo riquadro, c’è il padre. Ha un aspetto solenne. Ha in mano le tre spade che sta per consegnare ai figli dopo aver raccolto il loro giuramento. L’altra mano è sollevata in alto, a simboleggiare la superiorità del principio per il quale vanno a combattere: la difesa della patria e delle loro famiglie. Nel terzo riquadro ci sono le moglie degli Orazi con due figli. Sono accasciate ed addolorate anche se non compiono gesti di teatrale disperazione. Non piangono neppure. La loro sofferenza è intensa ma composta. Sopportata con grande dignità, perché comprendono la necessità del sacrificio dei loro uomini. Il soggetto storico è qui utilizzato con un unico contenuto: l’esaltazione dell’eroismo. Eroi sono coloro che volontariamente scelgono di mettere a rischio la propria vita per il bene comune dei propri familiari e della propria terra. L’eroe, in questo quadro, ha caratteri di intensa virilità che contrastano con i molli caratteri dei tanti damerini che affollavano la società aristocratica del
Settecento. Ma non è un attributo solo degli uomini. Eroiche sono anche le donne che devono pagare il prezzo del dolore. La differenza psicologica dei personaggi viene resa in forme visibile dalle loro pose: diritte e tese le linee che formano gli uomini, curve e sinuose le linee che disegnano le donne.
Rispetto alla pittura rococò, che cercava la sensualità della visione con colori tonali, luci calde e ombre accoglienti, la pittura di David si mostra al contrario fortemente idealizzata.

La luce che illumina la scena è netta e tagliente, le forme sono disegnate con grossa precisione, il rilievo dei corpi è affidato al più classico del trattamento chiaroscurale. Nulla deve essere seducente per l’occhio o i sensi. L’immagine deve invece colpire la coscienza dell’osservatore.
Non deve offrirgli consolanti sensazioni estetiche ma deve smuovergli il cuore. Deve richiamarlo a valori forti. Valori come l’eroismo. Valori tanto necessari in una fase storica come questa in cui la società francese si prepara a quella rivoluzione destinata a cambiare il corso della storia europea. Il richiamo all’eroismo è il grande contenuto di questo quadro. Un contenuto etico. Un contenuto forte. E, per far ciò, il David abbandona del tutto quella sensazione di attimo fuggente che caratterizza tutta la pittura del Settecento rococò. Egli sceglie di rappresentare la vicenda secondo la tecnica del momento pregnante.
Il momento eterno. Quel momento in cui la coscienza cambia per sempre per una scelta che non può più
farci tornare indietro. Quel momento da consegnare per sempre alla storia. Il quadro di David fu realizzato a Roma e poi trasportato a Parigi.
Il successo che ebbe fu immenso e decretò la fama di David.

22 set 2011

ROMANTICISMO

Il Romanticismo è un movimento artistico dai contorni meno definiti rispetto al Neoclassicismo. Benché si affermi in Europa dopo che il Neoclassicismo ha esaurito la sua vitalità, ossia intorno al 1830, in realtà era nato molto prima. Le prime tematiche che lo preannunciavano sorsero già verso la metà del XVIII secolo. Esse, tuttavia, rimasero in incubazione durante tutto lo sviluppo del Neoclassicismo, per riapparire e consolidarsi solo nei primi decenni dell’Ottocento. Il Romanticismo ha poi cominciato a affievolirsi verso la metà del XIX secolo, anche se alcune sue suggestioni e propaggini giungono fino alla fine del secolo. Il Romanticismo è un movimento che si definisce bene proprio confrontandolo con il Neoclassicismo. In sostanza, mentre il Neoclassicismo dà importanza alla razionalità umana, il Romanticismo rivaluta la sfera del sentimento, della passione e dell'irrazionalità. Il Neoclassicismo è profondamente laico e persino ateo; per contro il Romanticismo è un movimento di grandi suggestioni religiose. Il Neoclassicismo aveva preso come riferimento la storia classica; il Romanticismo, invece, guarda alla storia del medioevo, rivalutando questo periodo che, fino ad allora, era stato considerato buio e barbarico. Infine, mentre il Neoclassicismo impostava la pratica artistica su regole e metodo, il Romanticismo rivalutava ispirazione e genio individuale.
È da considerare che, mentre il Neoclassicismo è uno stile internazionale, perciò rifiuta le espressioni locali considerandole folkloristiche, ossia di livello inferiore, il Romanticismo si presenta con caratteristiche differenziate da nazione a nazione. Così, di fatto, risultano differenti il Romanticismo inglese da quello francese, o il Romanticismo italiano da quello tedesco. Il Romanticismo, in realtà, a differenza del Neoclassicismo, non è uno stile, in quanto non si fonda su dei princìpi formali definiti. Esso può essere invece considerato una poetica, in quanto, più che alla omogeneità stilistica, tende alla omogeneità dei contenuti. Questi contenuti della poetica romantica sono sintetizzabili in quattro grandi categorie:
 l’armonia dell’uomo nella natura
 il sentimento della religione
 la rivalutazione dei caratteri nazionali dei popoli
 il riferimento alle storie del medioevo.
Le nuove categorie estetiche: il pittoresco e il sublime
La categoria estetica del Neoclassicismo è stata sempre una: il bello, che deve ispirare sensazioni estetiche piacevoli, gradevoli. Per far ciò deve nascere dalla perfezione delle forme, dalla loro armonia, regolarità, equilibrio. Il bello, già dalle sue prime formulazioni teoriche presso gli antichi greci, conserva al suo fondo una regolarità geometrica che è il frutto della capacità umana di immaginare e realizzare forme perfette. Pertanto, nella concezione propriamente neoclassica, il bello è la qualità specifica dell’operare umano.
La natura non produce il bello, ma produce immagini che possono ispirare due sentimenti fondamentali: il pittoresco o il sublime. Il sublime conosce la sua prima definizione teorica grazie a E. Burke, nel 1756, con un saggio dal titolo: Ricerca filosofica sulla origine delle idee del sublime e del bello. Burke considera il bello e il sublime tra loro opposti. Il sublime non nasce dal piacere della misura e della forma bella, né dalla contemplazione disinteressata dell’oggetto, ma ha la sua radice nei sentimenti di paura e orrore suscitati dall’infinito, dalla dismisura, da «tutto ciò che è terribile o riguarda cose terribili» (per es. il vuoto, l’oscurità, la solitudine, il silenzio, ecc.; riprendendo questi esempi Kant dirà: sono sublimi le alte querce e belle le aiuole; la notte è sublime, il giorno è bello). Immanuel Kant approfondisce il significato del sublime. Il sublime non deriva, come il bello, dal libero gioco tra sensibilità e intelletto, ma dal conflitto tra sensibilità e ragione. Si ha pertanto quel sentimento misto di sgomento e di piacere che è determinato sia dall’assolutamente grande e incommensurabile (la serie infinita dei numeri o l’illimitatezza del tempo e dello spazio: sublime matematico), sia dallo spettacolo dei grandi sconvolgimenti e fenomeni naturali che suscitano nell’uomo il senso della sua fragilità e finitezza (sublime dinamico).
Il pittoresco è una categoria estetica che trova la sua prima formulazione solo alla fine del Settecento grazie ad U. Price, che nel 1792 scrisse: Un saggio sul pittoresco, paragonato al sublime e al bello. Tuttavia la sua prima comparsa nel panorama artistico è rintracciabile già agli inizi del Settecento, soprattutto nella pittura inglese, e poi nel Rococò francese. Il pittoresco rifiuta la precisione delle geometrie regolari per ritrovare la sensazione gradevole nella irregolarità e nel disordine spontaneo della natura. Il pittoresco è la categoria estetica dei paesaggi. Tutta la pittura romantica di paesaggio conserva questa caratteristica. Essa, nel corso del Settecento, ispirò anche il giardinaggio, facendo nascere il cosiddetto giardino «all’inglese». L’arte del giardinaggio, nel corso del Rinascimento e del Barocco, aveva prodotto il giardino «all’italiana», ossia una composizione di elementi vegetali (alberi, siepi, aiuole) e artificiali (vialetti, scalinate, panchine, padiglioni, gazebi) ordinati secondo figure geometriche e regolari. Il giardino «all’inglese» rifiuta invece la regolarità geometrica e dispone ogni cosa in un’apparente casualità. Divengono elementi caratteristici di questo tipo di giardino: i vialetti tortuosi, i dislivelli, le pendenze, la disposizione irregolare degli arbusti.
Un altro elemento caratteristico del giardino «all’inglese» è la falsa rovina. Il sentimento della rovina è tipico della poetica romantica. Le rovine ispirano la sensazione del disfacimento delle cose prodotte dall’uomo, dando allo spettatore la commozione del tempo che passa. Le testimonianze delle civiltà passate, pur se aggredite dalla corrosione del tempo, rimangono comunque presenti in questi rovine del passato. La rovina, per lo spirito romantico, è più emozionante e piacevole di un edificio, o di un manufatto intero. Nell’arte del giardinaggio, pur in mancanza di rovine autentiche, ci si accontentava di false rovine, ossia di copie di edifici o statue del passato riprodotte allo stato cadente.

La rivoluzione dei sentimenti e delle passioni
Uno dei tratti più caratteristici del Romanticismo è la rivalutazione del lato passionale e istintivo dell’uomo. Questa tendenza porta a ricercare le atmosfere buie e tenebrose, il mistero, le sensazioni forti, l’orrido e il pauroso. L’artista romantico ha un animo ipersensibile, sempre pronto a continui turbamenti. L’artista non si sente più un borghese, ma inizia a comportarsi sempre più in modo anticonvenzionale. In alcuni casi è decisamente asociale e amorale. Artista disperato e maledetto, che alimenta il proprio genio di trasgressioni e eccessi. L’artista romantico è un personaggio pessimista. Vive il proprio malessere psicologico con grande drammaticità. Il risultato di questo atteggiamento è un'arte che, non di rado, ricerca l’orrore, come in alcuni quadri di Gericault che raffigurano teste di decapitati o nelle visioni allucinate di Goya quali «Saturno che divora i figli».
L’arte romantica riscopre anche la sfera religiosa, dopo il Settecento, che era stato fortemente laico e anticlericale. La riscoperta dei valori religiosi era iniziata già nel 1802 con la pubblicazione, da parte di Chateaubriand, de Il genio del Cristianesimo. Negli stessi anni iniziava, soprattutto in Germania, grazie a Von Schlegel e Schelling, una concezione mistica e idealistica dell’arte, intesa come dono divino. L’arte deve scoprire l’anima delle cose, rivelando concetti quali il sentimento, il religioso, l’interiore. Il primo pittore a seguire queste indicazioni fu il tedesco C. D. Friedrich. Questo interesse per la dimensione della interiorità e della spiritualità umana portò, in realtà, il Romanticismo a preferire linguaggi artistici non figurativi, come la musica, la letteratura o la poesia. Queste, infatti, sono le arti che, più di altre, incarnano lo spirito del Romanticismo.

La riscoperta del Medioevo
Sono diversi i motivi che portarono la cultura romantica a rivalutare il Medioevo. Le motivazioni principali sono fondamentalmente tre:
 il Medioevo è stato un periodo mistico e religioso;
 nel Medioevo si sono formate le nazioni europee;
 nel Medioevo il lavoro era soprattutto artigianale.
Nel Medioevo la religione aveva svolto un ruolo fondamentale per la società del tempo. Forniva le coordinate morali e esistenziali. Allo spirito della religione era improntata tutta l’esistenza umana. Questo aspetto fece sì che, nel Romanticismo, si guardò al Medioevo come a un’epoca positiva, perché pervasa da forte misticismo e spiritualità.
Inoltre, la rivalutazione del Medioevo nasceva da un atteggiamento polemico sul piano politico. È da ricordare, infatti, che il Neoclassicismo, nella sua ultima fase, era divenuto lo stile di Napoleone e del suo impero. Di un'entità politica che aveva cercato di eliminare le varie nazioni europee, per fonderle in un unico stato. Il crollo dell’impero napoleonico aveva significato, nelle coscienze europee, soprattutto la rivalutazione delle diverse nazionalità che, nel nostro continente, si erano formate proprio nel Medioevo, con il crollo di un altro impero sovranazionale: quello l'Impero Romano.
Il Neoclassicismo, nella sua perfezione senza tempo, aveva cercato di sovrapporsi alle diversità locali. Il Romanticismo, invece, vuole rivalutare la diversità dei vari popoli e delle varie nazioni e quindi guarda positivamente a quell’epoca in cui la diversità culturale si era formata in Europa: il Medioevo.
Il terzo motivo di rivalutazione del medioevo nasce da un atteggiamento polemico nei confronti della Rivoluzione Industriale. Alla metà del Settecento le nuove conquiste scientifiche e tecnologiche avevano permesso di modificare sostanzialmente i mezzi della produzione, passando da una fase in cui i manufatti erano prodotti artigianalmenti, a una fase in cui erano prodotti meccanicamente, con un ciclo industriale. La nascita delle industrie rivoluzionò molti aspetti della vita sociale e economica: permise di produrre una quantità di oggetti notevolmente superiore, a un costo notevolmente inferiore. Tuttavia, soprattutto nella sua prima fase, la produzione industriale portò a un peggioramente della qualità estetica degli oggetti prodotti. Questa conseguenza fu avvertita soprattutto dagli intellettuali inglesi che, verso la metà dell’Ottocento, proposero un rifiuto delle industrie per un ritorno all’artigianato.
Il lavoro artigianale, secondo questi intellettuali, consentiva la produzione di oggetti qualitativamente migliori, inoltre arricchiva il lavoratore del piacere del lavoro, cosa che nelle industrie non era possibile. Le industrie, con il loro ciclo ripetitivo della catena di montaggio, non creavano le possibilità per un lavoratore di amare il proprio lavoro, con la conseguenza della sua alienazione e dell’impoverimento interiore. Sorsero così, in Inghilterra, delle scuole di arte applicata e di mestieri, dette «Arts and Crafts». In queste scuole erano prodotti manufatti in modo rigorosamente artigianale, ma che finivano per costare notevolmente in più rispetto alle analoghe merci prodotte dalle industrie.
Tendenzialmente erano destinate a un pubblico ricco, d'élite, e non alla portata della classe operaia che, dalla rivoluzione industriale, aveva tratto il beneficio di poter acquistare un maggior numero di oggetti perché più economici.
La risposta ai mali della Rivoluzione Industriale data dai movimenti di «Arts and Crafts» era anacronistica: l’illusione di poter sostituire le industrie con l’artiginato si rivelò fallimentare. La giusta soluzione, alla qualità della produzione industriale, fu data solo alla fine del secolo dalla cultura che si sviluppò nell’ambito del Liberty. La soluzione fu la definizione di una nuova specificità estetica, il design industriale, che avrebbe portato a una nuova figura professionale: il designer. Parallelamente ai movimenti di «Arts and Crafts» sorse in Inghilterra un movimento pittorico che diede una ultima interpretazione del Romanticismo, nella seconda metà dell’Ottocento: i Pre-raffaelliti. Il gruppo, animato da Dante Gabriel Rossetti, si ripropose, anche nel nome, di far rivivere la pittura Medievale sviluppatasi appunto prima di Raffaello.

Il Romanticismo italiano
Il Romanticismo italiano è un fenomeno che ha tratti caratteristici diversi dal Romanticismo europeo. Le tensioni mistiche sono del tutto assenti, così come è assente quel gusto per il tenebroso e l’orrido che caratterizza molto Romanticismo nordico. Queste diversità hanno fatto ritenere che l’Italia non abbia avuto una vera e propria arte romantica, ma solo un'imitazione del vero Romanticismo nordico.
La questione appare oggi superata, ciò che interessa è capire in che cosa si può individuare un’esperienza romantica nell’arte italiana dell’Ottocento. È da premettere che in Italia il Romanticismo coincide cronologicamente con quella fase storica che definiamo Risorgimento. Ossia il periodo, compreso tra il 1820 e il 1860, in cui si realizzò l’unità d’Italia. Questo processo di unificazione fu accompagnato da molti fermenti che coinvolsero sia la sfera politica e diplomatica sia la cultura del periodo. I contenuti culturali furono indirizzati al risveglio dell'identità nazionale e alla presa di coscienza dell’importanza dell'unificazione.
Secondo le coordinate del Romanticismo, che in tutta Europa rivalutava le radici delle identità nazionali, il riferimento storico divenne il Medioevo. Così anche l’Italia, che pure aveva vissuto periodi storici più intensi e pregnanti proprio in età classica con l’Impero Romano, si rivolse al Medioevo per ritrovarvi quegli episodi che ne indicassero l’orgoglio nazionale.
Questo impegno civile e politico unifica tutte le arti del Romanticismo italiano, dalla letteratura alla pittura, dalla musica al melodramma. L’arte che più di ogni altra si affermò nel Romanticismo italiano fu soprattutto la letteratura, grazie a Alessandro Manzoni e al suo romanzo I promessi sposi. Questo predominio della letteratura sulle arti visive è stata una costante di tutta la successiva cultura italiana dell’Ottocento, determinando non poco il ritardo culturale che l’Italia accumulò nel campo delle arti visive rispetto alle altre nazioni europee e alla Francia in particolare.
I due principali temi in cui si esprime la pittura romantica italiana è la pittura di storia e la pittura di paesaggio. Nel primo tema abbiamo il maggior contributo pittorico all’idea risorgimentale dell’unità nazionale. La pittura di storia, coerentemente a quanto detto prima, rappresenta sempre episodi tratti dalla storia del Medioevo quali, per esempio, la Disfida di Barletta e Vespri siciliani. Lo fa con spirito che denota la succube dipendenza dalla letteratura, tanto che questi quadri hanno un carattere puramente illustrativo e didascalico. Protagonisti di questa pittura di storia sono stati il milanese Francesco Hayez, il fiorentino Giuseppe Bezzuoli, il piemontese Massimo D’Azeglio.
Nel genere del paesaggio il Romanticismo italiano trovò invece una sua maggiore autonomia e ispirazione, che la posero al livello delle coeve esperienze pittoriche che si stavano svolgendo in Europa. Anche per la diversità geografica tra Italia e Europa del nord, i paesaggi italiani non sono mai caratterizzati da quella atmosfera a volte tenebrosa, a volte inospitale del paesaggio nordico. Il paesaggio italiano si presenta più luminoso, più gradevole, più caratterizzato da un pittoresco accogliente e piacevole. La pittura di paesaggio italiana ha soprattutto due grandi protagonisti: Giacinto Gigante a Napoli, esponente principale della locale Scuola di Posillipo, e Antonio Fontanesi a Torino. La vicenda del Romanticismo italiano tende a prolungarsi fin quasi alla fine del secolo collegandosi, in alcuni casi, direttamente con la pittura divisionista.
Nell’ambito del Romanticismo italiano, un posto a sé è occupato da un altro movimento, detto «Scapigliatura», sviluppatosi a Milano nell’immediato periodo dopo l’unità d’Italia. La Scapigliatura si sviluppa sulle suggestioni di un altro originale pittore romantico, la cui attività si è svolta a Milano: Giovanni Carnovali, detto il Piccio.

NEOCLASSICISMO

Il Neoclassicismo inizia alla metà del XVIII sec., per concludersi con la fine dell’impero napoleonico nel 1815. Ciò che contraddistingue lo stile artistico di quegli anni fu l’adesione ai princìpi dell’arte classica. Quei principi di armonia, equilibrio, compostezza, proporzione, serenità, che erano presenti nell’arte degli antichi greci e degli antichi romani. Arte che fu riscoperta e ristudiata con maggior attenzione e interesse, grazie alle numerose scoperte archeologiche.
I caratteri principali del Neoclassicismo sono diversi:

1. esprime il rifiuto dell’arte barocca e della sua eccessiva irregolarità;
2. fu un movimento teorico, grazie soprattutto al Winckelmann che teorizzò il ritorno al principio classico del «bello ideale»;
3. fu una riscoperta dei valori etici della romanità, soprattutto in David e negli intellettuali della Rivoluzione Francese;
4. fu l’immagine del potere imperiale di Napoleone che ai segni della romanità affidava la consacrazione dei suoi successi politico-militari;
5. fu un vasto movimento di gusto che finì per riempire con i suoi segni anche gli oggetti d’uso e d’arredamento.
I principali protagonisti del neoclassicismo furono il pittore Anton Raphael Mengs (1728-1779), lo storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), che furono anche i teorici del Neoclassicismo, gli scultori Antonio Canova (1757-1822) e Bertel Thorvaldsen (1770-1844), il pittore francese Jacques-Louis David (1748-1825), i pittori italiani Andrea Appiani (1754-1817) e Vincenzo Camuccini (1771-1844). Winckelmann, Mengs, Canova, Thorvaldsen, operarono tutti a Roma, che diventò, nella seconda metà del Settecento, la capitale incontrastata del Neoclassicismo, il baricentro dal quale questo nuovo gusto si irradiò per tutta Europa.
A Roma, nello stesso periodo, operava un altro originale artista italiano, Giovan Battista Piranesi che, con le sue incisioni a stampa, diffuse il gusto per le rovine e le antichità romane. L’Italia nel Settecento fu la destinazione obbligata di quel «Grand Tour» che rappresentava, per la nobiltà e gli intellettuali europei, una fondamentale esperienza di formazione del gusto e dell’estetica artistica. Roma, in particolare, ove si stabilirono scuole e accademie di tutta Europa, diventò la città dove avveniva l’educazione artistica di intere generazioni di pittori e scultori. Tra questi vi fu anche David che rappresentò il pittore più ortodosso del nuovo gusto neoclassico. Con l’opera del David il neoclassicismo divenne lo stile della Rivoluzione Francese e ancor più diventò, in seguito, lo stile ufficiale dell’impero di Napoleone. Dalla fine del Settecento, la nuova capitale del Neoclassicismo non fu più Roma, ma Parigi.
Il Neoclassicismo tende a scomparire subito dopo il 1815 con la sconfitta di Napoleone. Nei decenni successivi fu progressivamente sostituito dal Romanticismo che, al 1830, ha definitivamente soppiantato il Neoclassicismo. Tuttavia sopravvisse come fatto stilistico per quasi tutto l’Ottocento, soprattutto nella produzione aulica dell’arte ufficiale e di stato e nelle Accademie di Belle Arti. Questa sopravvivenza stilistica, oltre ai consueti limiti cronologici, è riscontrabile soprattutto nella produzione di un artista come Ingres, la cui opera si è sempre attenuta ai canoni estetici della grazia e della perfezione, capisaldi di qualsiasi classicismo.

Le scoperte archeologiche
Uno dei motivi di questo rinato interesse per il mondo antico furono le scoperte archeologiche che segnarono tutto il XVIII secolo. In questo secolo furono scoperte prima Ercolano, poi Pompei, quindi Villa Adriana a Tivoli e i templi greci di Paestum; infine giunsero dalla Grecia numerosi reperti archeologici che finirono nei principali musei europei: a Londra, Parigi, Monaco.
Negli stessi anni si diffusero numerose pubblicazioni tra cui Le rovine dei più bei monumenti della Grecia, 1758, del francese Le Roy, Le antichità di Atene, 1762, degli inglesi Stuart e Revett, e le incisioni di antichità italiane del romano Piranesi, che contribuirono notevolmente a diffondere la conoscenza dell’arte classica. Questa opera di divulgazione fu importante sia per la conoscenza della storia dell’arte sia per il diffondersi dell’estetica del Neoclassicismo.
Con queste campagne di scavo si ampliò la conoscenza del passato e fu chiaro il rapporto, nel mondo classico, tra arte greca e arte romana. Quest’ultima rispetto alla greca apparve solo un pallido riflesso e un epigono, quasi una semplice copia. La vera fonte della grandezza dell’arte classica fu riconosciuta nella produzione greca degli artisti del V-IV secolo a.C. . Quel periodo eroico che vide sorgere la plastica statuaria di Fidia, Policleto, Mirone, Prassitele, fino a Lisippo. La perfezione senza tempo di questa scultura influenzò profondamente l’estetica del Settecento, diventando modello per gli artisti del tempo.

La razionalità illuministica e il rifiuto del barocco
Il Neoclassicismo nacque come desiderio di un'arte più semplice e pura rispetto a quella barocca, vista come eccessivamente fantasiosa e complicata. Questo desiderio di semplicità si coniugò alla constatazione, fornita dalle scoperte archeologiche, che già in età classica si era ottenuta un’arte semplice, ma di nobile grandiosità. Il Barocco apparve allora come il frutto malato di una degenerazione stilistica che, pur partita dai principi della classicità rinascimentale, era andata deformandosi per la ricerca dell’effetto spettacolare e illusionistico.
Il Barocco è complesso, virtuosistico, sensuale; il Neoclassicismo vuole essere semplice, genuino, razionale. Il Barocco propone l’immagine delle cose che può anche nascondere, nella sua bellezza esterna, le brutture interiori; il neoclassicismo non si accontenta della sola bellezza esteriore, vuole che questa corrisponda ad una razionalità interiore.
Il Barocco perseguiva effetti fantasiosi e bizzarri, il Neoclassicismo cerca l’equilibrio e la simmetria; se il barocco si affidava all'immaginazione e all’estro, il neoclassicismo si affida alle norme e alle regole. Il principio del razionalismo è una componente fondamentale nel Neoclassicismo. È da ricordare che il Settecento è stato il secolo dell’Illuminismo. Di una corrente filosofica che cerca di «illuminare» la mente degli uomini per liberarli dalle tenebre dell’ignoranza, della superstizione, dell’oscurantismo, attraverso la conoscenza e la scienza. Per far ciò bisogna innanzitutto liberarsi da tutto ciò che è illusorio: l’arte barocca ha sempre perseguito l’illusionismo come pratica artistica.
Il Neoclassicismo ha diversi punti di similitudine con il Rinascimento: come questo fu un ritorno all’arte antica e alla razionalità. Le differenze, però, sono sostanziali: la razionalità rinascimentale era di matrice umanistica e tendeva a liberare l’uomo dalla trascendenza medievale, la razionalità neoclassica è invece di matrice illuministica e tendeva a liberare l’uomo dalla retorica, dall'ignoranza e dalla falsità barocca. Il ritorno all’antico, per l’artista rinascimentale era il ritorno ad un atteggiamento naturalistico, nei confronti della rappresentazione, che lo liberasse dal simbolismo astratto del medioevo; per l’artista neoclassico fu invece la codificazione di una serie di norme e di regole che servissero a imbrigliare quella fantasia che, nell’età barocca, aveva agito con eccessiva licenza e sregolatezza.

Le teorie e lo stile
Massimo teorico del Neoclassicismo fu il Winckelmann. Nel 1755 pubblicava le Considerazioni sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura, nel 1763 pubblicava la Storia dell’arte nell’antichità. In questi scritti egli affermava il primato dello stile classico (soprattutto greco che lui idealizzava al di là della realtà storica), quale mezzo per ottenere la bellezza «ideale» contraddistinta da «nobile semplicità e calma grandezza». Winckelmann considerava l’arte come espressione di «un’idea concepita senza il soccorso dei sensi». Un’arte tutta cerebrale e razionale, purificata dalle passioni e fondata su canoni di bellezza astratta. Le sue teorie artistiche trovarono un riscontro immediato nell’attività scultorea di Antonio Canova e di Thorvaldsen.
La scultura, più di ogni altra arte, sembrò adatta a far rivivere la classicità. Le maggiori testimonianze artistiche dell’antichità sono infatti sculture. E nella scultura neoclassica si avverte il legame più diretto ed immediato con l’idea di bellezza classica. Una pittura classica non esiste, anche perché le testimonianze di quel periodo sono quasi tutte scomparse. Le uniche pitture a affresco comparvero proprio in quegli anni negli scavi di Ercolano e Pompei. Esse, tuttavia, per quanto suggestive nella loro iconografia così esotica, si presentavano di una semplificazione stilistica (definita compendiaria) inutilizzabile per la moderna sensibilità pittorica. Così i pittori neoclassici dovettero ispirarsi stilisticamente alla pittura rinascimentale italiana, in particolare Raffaello, non all’arte classica vera e propria.
I caratteri della scultura neoclassica sono la perfezione di esecuzione, l'estrema levigatezza del modellato, la composizione molto equilibrata e simmetrica, senza scatti dinamici. La pittura neoclassica si riaffidò agli strumenti del naturalismo rinascimentale: costruzione prospettica, volume risaltato con il chiaroscuro, la precisione del disegno, immagini nitide senza giochi di luce a effetto, la mancanza di tonalismi sensuali. I soggetti delle opere d’arte neoclassiche diventarono personaggi e situazioni tratte dall’antichità classica e dalla mitologia. Le storie di questo passato, oltre a far rivivere lo spirito di quell’epoca, che tanto suggestionava l’immaginario collettivo di quegli anni, serviva alla riscoperta di valori etici e morali, di alto contenuto civile, che la storia antica proponeva come modelli al presente. La storia antica, quindi, fu un serbatoio d'immagini allegoriche da utilizzare come metafora sulle situazioni del presente. Ciò è maggiormente avvertibile per un pittore come il David nei cui quadri la storia del passato è solo un pretesto, o una metafora, per proporre valori ed idee per il proprio tempo.
Il Neoclassicismo, nella sua poetica, invertì il precedente atteggiamento dell’arte rococò. Questa, nella sua ricerca della sensazione emotiva o sensuale, sceglieva immagini che materializzavano l’«attimo fuggente». Il Neoclassicismo non propone mai attimi fuggenti, ma, coerentemente con la sua impostazione classica, rappresenta solo «momenti pregnanti». I momenti pregnanti sono quelli in cui vi è la maggiore carica simbolica di una storia. In cui si raggiunge l’apice di intensità psicologica, di concentrazione, di significanza: il momento in cui, un certo fatto o evento entra nella storia o nel mito.

Il neoclassicismo in Italia
Il ruolo svolto dall’Italia nella nascita del Neoclassicismo fu determinante. In Italia furono effettuate le maggiori scoperte archeologiche del secolo: Ercolano, Pompei, Paestum, Tivoli, che si aggiunsero alle già imponenti collezioni di arte romana che, dal Cinquecento in poi, si erano costituite un po’ ovunque. Roma diventò la capitale del Neoclassicismo e fu un ruolo centrale che conservò fino allo scoppio della Rivoluzione Francese.
A Roma operarono i maggiori protagonisti di questa fase storica: Winckelmann, Mengs, Canova, Thorvaldsen. A Roma, nello stesso periodo, operava un altro originale artista italiano, Giovan Battista Piranesi che, con le sue stampe, diffuse il gusto per le rovine e le antichità romane. Un gusto, che presto suggestionò soprattutto gli spiriti romantici che nella «rovina» rintracciavano un sentimento che andava al di là della testimonianza archeologica.
A Roma giungevano altri artisti e intellettuali di Europa. I primi grazie alle borse di studio messe a loro disposizione dalle scuole ed accademie d’arte, i secondi per quella moda del Grand Tour che imponeva alle persone di un certo rango di effettuare almeno un viaggio in Italia per conoscerne le bellezze e i tesori d’arte. L’Accademia francese assegnava una borsa di studio per un soggiorno di alcuni anni a Roma, chiamata «Prix de Rome». Grazie a questa borsa di studio anche David giunse a Roma soggiornandovi in più occasioni. Proprio a Roma compose il suo quadro più famoso di questo periodo: «Il giuramento degli Orazi».
neoclassici, che tenderanno a scomparire solo dopo la metà del secolo. A Roma un altro personaggio svolse un ruolo fondamentale per il Neoclassicismo: il cardinale Albani. Cultore di antichità classiche e mecenate, iniziò la costruzione di una villa-museo che diventò uno dei luoghi più simbolici del nuovo stile. Il suo salotto diventò luogo d'incontro per gli artisti e gli studiosi che, a Roma, furono i protagonisti della vicenda neoclassica.
Infine Roma fu anche la città ove lavorò il maggior artista italiano neoclassico: Antonio Canova. Intanto, alla fine del secolo, Roma cedeva la sua centralità a Parigi e, nel contempo, un’altra città italiana diventò importante nella vicenda del Neoclassicismo: Milano. Nel capoluogo lombardo il centro della vita artistica divenne l’Accademia di Brera, fondata nel 1776. Da Milano proviene il principale pittore neoclassico italiano: Andrea Appiani (1754-1817), che fu anche ritrattista ufficiale di Napoleone. La sua opera, in parte distrutta dai bombardamenti del 1943, si affida a temi mitologici quali «La toeletta di Giunone», il «Parnaso» o la «Storia di Amore e Psiche». Un altro pittore romano, Vincenzo Camuccini (1771-1844), visse in gioventù la fase del Neoclassicismo, proponendo quadri di derivazione davidiana quali la «Morte di Giulio Cesare».
Il Neoclassicismo, come fatto stilistico, è sopravvissuto nell’arte italiana per buona parte dell’Ottocento. Anche pittori che per i soggetti sono considerati romantici, quali Hayez o Bezzuoli, continuano a praticare una pittura con connotati stilistici