11 mag 2011

IL DADAISMO

Siamo nei terribili anni della prima guerra mondiale, quando tutti i valori umani apparivano irrimediabilmente travolti dalla logica orrenda del grande conflitto. Si sviluppò, perciò, un rifiuto verso la società, e, quindi, anche verso la cultura, che rappresenta la società contemporanea. È questo lo spirito che animava un gruppo di giovani intellettuali di varie nazioni, rifugiatisi nella neutrale Svizzera per sfuggire alla guerra. Dada è dunque una rivolta totale contro ogni aspetto della civiltà attuale, rivolta che vuole distruggere tutto per ricostruire una nuova società, restituendo all’uomo quel ruolo di protagonista che gli è stato gradualmente tolto a favore dell’organizzazione alienante della società moderna. Quindi dada è essenzialmente libertà. Sebbene si tratti di un sentimento comune a molti giovani, che esplose addirittura a New York, ufficialmente dada nasce a Zurigo, nel 1916, in un cabaret, fondato da Ball, cui venne dato il significativo nome di Voltaire, il filosofo illuminista francese sostenitore della ragione contro ogni pregiudizio. Le serate al Cabaret Voltaire non sono molto diverse dalle serate organizzate dai futuristi: in entrambe vi è l’intento di stupire con manifestazioni inusuali e provocatorie, così da proporre un’arte nuova ed originale. Ed in effetti i due movimenti, futurismo e dadaismo, hanno diversi punti comuni (quale l’intento dissacratorio e la ricerca di meccanismi nuovi del fare arte) ma anche qualche punto di notevole differenza: soprattutto il diverso atteggiamento nei confronti della guerra. I futuristi, nella loro posizione interventista, sono favorevoli alla guerra, mentre i dadaisti le si oppongono radicalmente (infatti, il dadaismo nasce da un rifiuto della guerra). Il movimento combatte contro i significati tradizionali attribuiti alle parole, espressione di concetti universalmente accettati. Infatti, dada, come scrive Tristan Tzara, non vuole significare nulla. Egli narra di aver trovato la parola a caso in un vocabolario, in una pagina del quale era incidentalmente scivolato un tagliacarte. Gli unici significati, che potrebbero essere attribuiti alla parola dada, sono o cavalluccio giocattolo (intento dissacratorio) o la derivazione dal sonoro “da! da!” (si! si!) che gli artisti si scambiavano fra di loro. Quindi, come si è potuto notare, il dadaismo rifiuta ogni atteggiamento razionale e per poter continuare a produrre opere d’arte, si affida ad un meccanismo ben preciso:la casualità. Questo concetto è stato ampiamente sviluppato dai dadaisti, che lo collegavano strettamente a quello di caos. Secondo loro, il caos, evidenziato dalla grande guerra, è in mezzo a noi e trae origine dalla casualità che governa la realtà. Si è arrivati infatti a parlare della poetica del caso, il “caso” che, in seguito, troverà diverse applicazioni in arte: lo useranno sia i surrealisti, per far emergere l’inconscio umano, sia gli espressionisti astratti, come farà Jackson Polloch con l’action painting. Nel passo che segue, il poeta Tristan Tzara descrive il modo dadaista di produrre una poesia.

Per fare un poema dadaista.

Prendete un giornale. Prendete delle forbici. Scegliete nel giornale un articolo che abbia la lunghezza che contate di dare al vostro poema.

Ritagliate l’articolo. Ritagliate quindi con cura ognuna delle parole che formano questo articolo e mettetele in un sacco. Agitate piano.

Tirate fuori quindi ogni ritaglio, uno dopo l’altro, disponendoli nell’ordine in cui hanno lasciato il sacco.

Copiate coscienziosamente. Il poema vi assomiglierà.

Ed eccovi "uno scrittore infinitamente originale e d’una sensibilità affascinante, sebbene incompresa dall’uomo della strada".



Anche Hans Arp codifica il caso:«La legge del caso, che racchiude in sé tutte le leggi e resta a noi incomprensibile come la causa prima onde origina la vita, può essere conosciuta soltanto in un completo abbandono all’inconscio. Io affermo che chi segue questa legge creerà la vita vera e propria».


Da ciò si vede come il dadaismo non sia un’estetica, ma sia piuttosto un modo di concepire, che si interessa, più che del valore artistico, dello shock che causa nello spettatore per toglierlo dalle sue pigre abitudini mentali, cosa che già Picasso aveva tentato, ma solo dal punto di vista iconografico.

Con il cubismo ha anche in comune la tecnica del collage, ma non per un fine estetico, quanto per simboleggiare che qualunque oggetto costruito dall’uomo è frutto della creatività umana e quindi è arte. L’arte quindi non deve separarsi altezzosamente dalla vita reale ma deve confondersi con questa. Oltretutto l’opera dell’artista non consiste nella sua abilità manuale, ma nelle idee che riesce a proporre.

Sulla tecnica del collage cubista si sviluppò il ready-made di Marcel Duchamp (Blainvill, 1887 - Neuilly, 1968) con la quale tecnica, i dadaisti, criticarono anche la mercificazione dell'arte. Duchamp dapprima si basò sulle tecniche futuriste e cubiste (cubismo orfico) come si può vedere in "nudo che scende una scala", nel quale si nota una particolare attenzione al movimento, al dinamismo. A New York, nel 1913, all'Esposizione internazionale d'arte moderna, Duchamp aveva mostrato anche la "ruota di bicicletta", che rappresenterebbe la sua concezione dell'universo. Quest'idea rimanda all'alchimia, con la vita che è generata dall'unione degli opposti: lo sgabello (parte fissa) e la ruota (il divenire). Il più dirompente e provocatorio tra questi "oggetti già fatti" (ready-made), elevati polemicamente al ruolo di opera d'arte, è sicuramente "fontana", che inviò ad una mostra nel 1917 con lo pseudonimo di Richard Mutt. Era un orinatoio maschile. Lo pseudonimo Mutt fa forse riferimento alla parola Mutter, che in tedesco significa madre), o forse alla parola Mut, ovvero la dea-madre egizia, dotata contemporaneamente degli attributi maschili e femminili



In questo caso, oltre ad essere simbolo maschile, rappresenterebbe anche il ventre materno. D'altronde lo stesso nome "fontana", derivato dal capovolgimento dell'orinatoio, e, quindi, dall'inversione del flusso d'acqua, indicherebbe la fonte di vita, cioè la fusione tra l'elemento maschile e quello femminile.

La stessa analisi si può fare per "la gioconda con i baffi", che oltre al solito gesto iconoclasta, potrebbe significare la sovrapposizione di un elemento maschile su un volto femminile. Infatti, in questo periodo, si era arrivati a pensare che la gioconda non fosse altro che il ritratto al femminile di Leonardo da Vinci, considerato omosessuale. Inoltre sotto il quadro si trova una scritta apparentemente misteriosa: L.H.O.O.Q. Essa potrebbe significare "elle a chaud au cul" (ella ha caldo al sedere). Anche questo potrebbe essere un rimando all'alchimia, dove l'acqua, che sta alle spalle della Monna Lisa, rimanderebbe all'elemento femminile, mentre il fuoco, che ipoteticamente dovrebbe stare sotto la Gioconda, rimanderebbe all'elemento maschile, l'uno e l'altra fondamentali per la generazione, e quindi per la vita. Si deve ricordare, a questo proposito, l'alambicco da scrivania degli alchemici, formato dal fuoco (elemento maschile) e la beuta con l'acqua (elemento femminile).
Tra gli artisti americani che aderiscono alla nuova corrente si deve ricordare il più originale di tutto: Man Ray (Philadelphia, 1890 - Parigi, 1976). I maggiori artisti tedeschi dada sono Hans Arp e Max Ernst. Il loro dadaismo, pur sempre antiborghese e innovatore, è contraddistinto dalla ricerca di un nuovo linguaggio espressivo. Con questo fine Ernst elaborò varie tecniche tra cui il montaggio di vignette o di fotografie, il decalcage, il frottage e il decollage. Tutto questo influenzò la Pop Art americana, che terrà sempre presente l'insegnamento dei dadaisti.

1 commento:

  1. Mi piace molto questa corrente artistica ma non ho trovato molto sulle tecniche usate dagli artisti

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